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la grande depressione

Dopo la Grande Guerra gli Stati Uniti d'America conobbero un periodo di prosperità e progresso socioeconomico trainato soprattutto dal settore automobilistico, che a sua volta fece da volano alla crescita trascinando con sé altri settori come l'industria metallurgica, l'industria della gomma, il settore petrolifero, quello dei trasporti e quello edile. Durante questo periodo la bolla azionaria di Wall Street raggiunse il suo massimo.
Sembrava quindi essersi innescato un circolo virtuoso: l'alta produttività permetteva di mantenere inalterati i salari e i prezzi dei prodotti sul mercato. Questo favoriva quindi gli investimenti, che permettevano a loro volta di aumentare la produttività. Tuttavia, agli investimenti e al continuo aumento della produttività non corrispose una proporzionata crescita del potere d'acquisto. Nei primi anni dopo il primo conflitto mondiale, lo sviluppo era stato infatti sostenuto dai risparmi accumulati negli anni della guerra e dai bassi tassi d'interesse.
Una seconda contraddizione interna all'economia statunitense era rappresentata dal sistema finanziario. Non furono infatti posti limiti alle attività speculative delle banche e della borsa valori, dovute alla volontà da parte degli acquirenti di detenere titoli, non tanto per ottenere dividendi e dunque profitti, quanto solo per aumentare il proprio capitale. In sostanza dunque si comperava per rivendere, senza preoccuparsi della qualità dei titoli; all'aumento di domanda dei titoli si accompagnò direttamente quella delle quotazioni.
Il 24 ottobre 1929 (poi chiamato il giovedì nero) il mercato aveva subito un primo duro collasso. Periodi di vendita e di grossi volumi di trading erano mescolati con brevi periodi di prezzi in crescita e recupero. Ma fu il cosiddetto Martedì nero (detto anche "Big Crash") il giorno del crollo della borsa valori, avvenuto il 29 ottobre 1929 a New York, presso lo Stock Exchange, sede del mercato finanziario più importante per volume degli Stati Uniti. Il prezzo delle azioni di numerose imprese di grandi dimensioni, come la General Electric, precipitò. Quel giorno più di sedici milioni di azioni vennero negoziate e il valore delle stesse calò di altri dieci miliardi di dollari. 
La caduta della borsa colpì soprattutto quel ceto di media borghesia che nel corso degli anni venti, oltre ad avervi investito i propri risparmi, aveva sostenuto la domanda di beni di consumo durevole. La loro uscita dal mercato indeboliva proprio le industrie produttrici di beni di consumo durevole (come quelle automobilistiche). Queste industrie cessarono di commissionare materiali, semilavorati e componenti a quelle operanti nei settori dell'indotto, le quali dovettero ridurre il personale e i salari, provocando una contrazione a valanga anche nei settori dei beni di consumo primario (come quello agricolo).

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